“Durante il lockdown nei bambini con disturbi dello spettro autistico abbiamo registrato un aumento di circa il 30% di comportamenti ripetitivi e stereotipie, indipendentemente dalla gravità sintomatologica e dal livello intellettivo”. A dirlo è Elena Vanadia, neuropsichiatra infantile e responsabile medico del servizio di Diagnosi e Valutazione dell’Istituto di Ortofonologia (IdO), illustrando i risultati di una ricerca sui cambiamenti comportamentali condotta dall’IdO nel corso del primo mese di pandemia, pubblicata sulla rivista scientifica Continuity in Education (CiE).
Lo studio ha evidenziato anche “un aumento dei livelli di iperattività, irrequietezza e di disturbi del sonno- sottolinea Vanadia- dato questo in linea con l’aumento registrato nella popolazione generale, specialmente in età pediatrica”. Non sono emersi invece “cambiamenti nelle autonomie personali di cura di sé, nella sensorialità olfattiva e gustativa, e nell’aggressività auto o etero diretta- specifica la neuropsichiatra- nonostante un aumento dell’irritabilità e delle paure”.
Analizzando i risultati dello studio “è plausibile ipotizzare che l’incremento di comportamenti ripetitivi e stereotipie sia la manifestazione del disagio correlato alla brusca interruzione delle routine, che per un bambino autistico significa perdita di schemi rassicuranti e ridotta prevedibilità- spiega Vanadia- Potremmo dunque definire quanto descritto come una reazione a un evento stressante”. Un dato in linea “con un ampio studio condotto nel 2013 negli Stati Uniti sull’influenza A/H1N1 del 2009, che riportava segni di disturbo post traumatico da stress nel 30% dei bambini isolati o in quarantena”, ricorda la neuropsichiatra.
Il campione di ricerca dell’IdO ha interessato 63 famiglie con bambini (8 femmine e 55 maschi) di età compresa tra i 2.7 e i 9.4 anni, diagnosticati con un disturbo dello spettro autistico e inseriti nel progetto terapeutico dell’Istituto da circa tre anni. “Poco dopo l’inizio del lockdown e del conseguente distanziamento fisico abbiamo voluto chiedere ai genitori come stessero reagendo i loro figli- spiega Vanadia entrando nel merito dello studio- e lo abbiamo fatto somministrando una batteria di questionari come l’RBS (Repetitive Behaviors Scale), il Sensory Profile e l’ASDBI (Autism Spectrum Disorder Behaviour Inventory), atti a valutare la presenza (e l’incremento) di comportamenti ripetitivi e/o aggressivi, di stereotipie, manierismi, di atipie sensoriali, di alterazioni dei bioritmi e del funzionamento adattivo”. I questionari sono stati somministrati alle famiglie ad aprile, a un mese di distanza dall’inizio del lockdown.
Dall’indagine dell’IdO sono emersi aspetti clinici e “umani” che Vanadia tiene a sottolineare: “In particolare la possibilità, anche durante i periodi di pandemia con le relative misure restrittive, di rimanere a supporto delle famiglie proseguendo quella presa in carico che prevede la conoscenza e la comprensione di ciò che muove i comportamenti, della dimensione emotiva-affettiva che nel bambino autistico non solo è presente, ma spesso amplificata ancorché atipicamente manifestata. Essa- dice la neuropsichiatra infantile- merita uno sforzo di comprensione ancora maggiore proprio perché non è quasi mai verbalizzata o coerentemente espressa. Non credo sia un caso- afferma Vanadia- che nei bambini che seguono il nostro percorso terapeutico è davvero molto bassa la presenza di aggressività, e questo si è mantenuto anche durante il lockdown”.
Se da una parte, infatti, l’esperta evidenzia come sia “complicato rimodulare a distanza un intervento che necessita dell’operatore e di un setting specifico, dall’altro- precisa- è possibile raccogliere i frutti del grande investimento sulle famiglie, sulle sintonizzazioni, sul lavoro di integrazione sensoriale e di regolazione emozionale (elementi alla base dello sviluppo), sull’acquisizione reale di strategie che possono essere riutilizzate anche in situazioni diverse dalla stanza di terapia tanto dal bambino quanto dagli adulti che lo assistono”.
Non solo. Altro aspetto messo in evidenza dallo studio “è che l’uso dei questionari oltre ad essere parte del momento valutativo diagnostico, diventi anche uno strumento di conoscenza e monitoraggio – sottolinea la neuropsichiatra- in questa ricerca i questionari sono stati utilizzati mettendoli a confronto con quelli che erano stati compilati prima del lockdown (a febbraio, ndr), per avere un feedback di come il bambino stesse vivendo quel periodo e per rimodulare non solo i percorsi di terapia ma anche il counseling rivolto ai genitori, nonché il supporto in ambito scolastico”, conclude Vanadia. A distanza di sei mesi l’Istituto ha riproposto alle famiglie i medesimi questionari e questi dati sono al momento in fase di elaborazione.